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La malattia del lavoratore e il periodo di comporto. Al tempo del Covid19.

27 Lug, 2020

Conflombardia. Malattia del Lavoratore. Malattia. Trattamento Normativo e Contrattuale. Comporto Covid19. Licenziamento  Disciplina e Prassi Amministrativa (parte 2). Articolo Collegato. https://conflombardia.com/2020/07/27/lesperto-risponde/la-malattia-nel-rapporto-di-lavoro-al-tempo-del-covid19/pasquale-dui/

La malattia del lavoratore e il periodo di comporto

Il datore di lavoro deve conservare il posto di lavoro del dipendente in malattia nei limiti di un periodo (c.d. di comporto), stabilito dalla legge, dal Ccnl o, in mancanza, dagli usi (art. 2110, comma 2, c.c.).

Durante il comporto il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo quando ricorrono una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo, dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione o a cessazione totale dell’attività di impresa.

L’arco temporale di riferimento per calcolare il periodo di comporto può essere l’anno di calendario o l’anno solare, o un diverso arco temporale, in base a quanto previsto dal contratto collettivo.

Secondo le previsioni dei contratti collettivi il comporto può essere di due tipi:

  1. Secco, se il periodo di conservazione del posto è riferito ad un’unica ed ininterrotta malattia
  2. Per sommatoria o frazionato, se le clausole contrattuali prevedono un arco di tempo entro il quale la somma dei periodi di malattia non può superare un determinato limite di conservazione del posto. In tal caso si tiene conto di tutti gli eventi morbosi verificatisi in tale periodo di riferimento. Nel determinare il periodo di comporto per sommatoria si contano anche i giorni festivi (inclusi quelli domenicali) o comunque non lavorativi che cadono nel periodo di malattia certificato dal medico, anche in caso di certificati in sequenza, di cui il primo attesti la malattia sino all’ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale (cioè fino a venerdì) e il secondo la certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica.

La questione interpretativa è stata risolta con la decisiva svolta giurisprudenziale di Cass. ss.uu. 2072, 2073, 2074/1980, le quali hanno proposto una soluzione che ha impresso il suo sigillo su tutta la giurisprudenza successiva e che è stata approvata anche dalla dottrina. Secondo le sezioni unite della Cassazione, l’art. 2110 non vale soltanto per la malattia unica e continuativa, ma trova applicazione anche nel caso del succedersi di più malattie discontinue. Il problema dell’eccessiva morbilità può essere risolto, pertanto, sulla base dell’art. 2110, che prevale, in quanto norma “speciale”, sia sulla normativa generale del recesso, che su quella del codice civile in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione; ne deriva che se un contratto collettivo prevede solamente una clausola di comporto secco, si ha un vuoto di disciplina per il caso di pluralità di malattie, che deve essere colmato dal giudice facendo ricorso alle fonti suppletive previste dallo stesso art. 2110, e cioè, in assenza di usi, determinando egli stesso il comporto per sommatoria in via di equità (per una successiva conferma del principio, vedi, fra le tante, Cass. 14808/2001; Cass. 14337/2001).

Alla scadenza del comporto il rapporto di lavoro prosegue, a meno che il datore di lavoro decida di recedere dal contratto nel rispetto delle procedure previste per il licenziamento individuale. Il datore di lavoro non deve provare l’esistenza di un giustificato motivo di licenziamento, la sopravvenuta impossibilità della prestazione o l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.

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