Una giungla contrattuale che genera disuguaglianze
In Italia il panorama della contrattazione collettiva è diventato negli anni sempre più frammentato. Secondo i dati ufficiali del CNEL, al 31 dicembre 2024 risultavano censiti oltre 1.000 CCNL, di cui 388 ancora vigenti e 629 scaduti. Ma il dato che sorprende di più è un altro: circa 500 di questi contratti sono applicati a meno di 500 lavoratori ciascuno. In pratica, un mare di micro-contratti che hanno scarsa o nulla rappresentatività, ma che vengono comunque utilizzati in alcuni settori come “scorciatoia” per abbassare salari e contributi. È questa la radice del fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata”, strumenti che, pur avendo una veste formale, si collocano fuori dal solco della contrattazione confederale. L’abbondanza di micro-contratti crea disuguaglianze enormi: due lavoratori che svolgono la stessa mansione, nella stessa città, possono ritrovarsi con paghe e tutele molto diverse solo perché assoggettati a contratti differenti.
Cassazione 19467/2025: lo stop ai contributi sotto-soglia
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 19467 del 2025, ha dato un messaggio chiarissimo: i contributi previdenziali non possono essere calcolati sotto i minimi tabellari previsti dai CCNL delle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Questo significa che i contratti “micro”, stipulati da soggetti privi di reale rappresentatività, non possono essere presi come parametro per abbassare la base contributiva. È un punto di svolta che spezza la logica al ribasso. Gli accordi di prossimità o aziendali non possono derogare in pejus rispetto al CCNL leader del settore. Per le imprese, questo segna una nuova linea rossa: utilizzare un contratto marginale per risparmiare sul costo del lavoro non solo è ingiusto, ma anche giuridicamente insostenibile. Per i lavoratori, invece, la sentenza è un argine che rafforza il diritto a una retribuzione equa e dignitosa, riportando al centro il principio costituzionale di sufficienza sancito dall’articolo 36.
Il peso dei numeri: il minimale INPS 2025 come riferimento
La certezza giuridica si intreccia con la chiarezza dei numeri. La Circolare INPS n. 26 del 2025 ha fissato il minimale contributivo giornaliero a 57,32 euro. Se rapportato a un orario di lavoro standard di 8 ore, corrisponde a circa 7,16 euro lordi l’ora. Questo valore non è negoziabile: rappresenta la base minima su cui devono essere calcolati i contributi previdenziali. Eppure, molti dei contratti “micro” censiti dal CNEL prevedono retribuzioni orarie ben inferiori a questa soglia, specie nei livelli di ingresso o nei rapporti part-time. Il risultato è un cortocircuito evidente: salari bassi e contributi ancora più ridotti, che alimentano il rischio di pensioni insufficienti e di erosione del sistema previdenziale. La matematica qui non lascia scampo: chi paga meno del minimale contribuisce meno alla collettività e danneggia l’equilibrio complessivo del welfare.
I settori più esposti: vigilanza, servizi, ICT
Non tutti i comparti sono ugualmente colpiti da questo fenomeno. Le analisi di ADAPT e de Il Sole 24 Ore mostrano che la diffusione di contratti “non confederali” è particolarmente rilevante nella vigilanza privata, nei servizi fiduciari, nella logistica e in parte nell’ICT. In questi ambiti, la concorrenza al massimo ribasso ha spinto molte imprese ad adottare contratti marginali pur di ridurre i costi. Ma la logica del ribasso è un’arma a doppio taglio: se da un lato abbassa il costo immediato, dall’altro genera un rischio legale crescente e mina la reputazione del settore. È un paradosso: proprio comparti strategici per la sicurezza, i trasporti e l’innovazione tecnologica rischiano di essere zavorrati da contratti deboli e non rappresentativi. Con l’intervento della Cassazione, diventa evidente che questo modello non ha futuro.
Le conseguenze per imprese e lavoratori
La proliferazione dei CCNL “micro” produce effetti negativi a catena. Per i lavoratori, significa vivere con stipendi troppo bassi per coprire il costo della vita e maturare contributi che non garantiranno pensioni adeguate. Per le imprese, significa esporsi a contenziosi giudiziari, ispezioni e sanzioni, oltre a perdere credibilità nei confronti di clienti e istituzioni. Nel medio periodo, i contratti marginali diventano un freno alla crescita: aumentano il turnover, alimentano il malcontento sociale e rendono più difficile attrarre lavoratori qualificati. Le PMI che scelgono di seguire questa strada rischiano di trovarsi intrappolate in un modello insostenibile, mentre quelle che si riallineano ai contratti rappresentativi costruiscono un vantaggio competitivo. In un mercato sempre più attento alla compliance sociale, l’applicazione dei contratti giusti diventa un requisito strategico per crescere e consolidarsi.
La proposta di CONFLOMBARDIA: dall’Audit Minimi & CCNL a un nuovo patto sociale
Di fronte a questo scenario, CONFLOMBARDIA lancia un messaggio chiaro: è il momento di uscire dalla giungla dei contratti “micro” e costruire un sistema basato su regole certe e dignitose. Con l’iniziativa “Audit Minimi & CCNL”, offriamo alle imprese uno strumento rapido ed efficace per verificare se il CCNL applicato è rappresentativo, se i minimi retributivi rispettano le soglie INPS e se i contributi sono calcolati correttamente. Non è solo un controllo tecnico: è un atto di responsabilità sociale. Le aziende che scelgono questa strada proteggono i lavoratori, rafforzano la propria immagine e si preparano a vincere le sfide del futuro. Perché il lavoro non è un costo da comprimere, ma un investimento da valorizzare. E perché il nostro motto rimane la bussola di ogni azione: “No mordi e fuggi, ma segui e servi.”