Una soglia che non è un numero ma un principio
Il 2025 segna un punto di svolta nel panorama del lavoro e della previdenza in Italia. Con la Cassazione (Ord. 19467/2025), il messaggio è stato inequivocabile: i contributi previdenziali non possono più essere calcolati su valori al di sotto dei minimi previsti dai CCNL rappresentativi, cioè quelli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali più solide e diffuse. A rafforzare questo principio arriva la Circolare INPS n. 26 del febbraio 2025, che ha fissato il minimale contributivo giornaliero a 57,32 euro. Non si tratta solo di una cifra tecnica, ma di un vero e proprio presidio di civiltà: questa soglia rappresenta il confine minimo sotto cui non è possibile calcolare contributi, indipendentemente dal contratto applicato. La matematica, in questo caso, diventa un presidio etico e giuridico: 57,32 euro al giorno equivalgono a circa 7,16 euro lordi all’ora su una settimana da 40 ore, valore che garantisce una base di sostenibilità sia per il lavoratore che per l’intero sistema previdenziale. Chi prova ad abbassare queste soglie, magari applicando contratti pirata o accordi di prossimità al ribasso, non solo si espone a sanzioni e recuperi, ma mina la fiducia collettiva nelle regole del lavoro.
I numeri che parlano chiaro
La fissazione del minimale contributivo da parte dell’INPS non è una novità: avviene ogni anno. Ma nel 2025, complice anche l’intervento della Cassazione, assume un peso del tutto nuovo. Il valore di 57,32 €/giorno si traduce in una cifra che non lascia scampo a interpretazioni. Rapportato a un orario settimanale di 40 ore, il minimo orario è di 7,16 €/h; se invece si calcola su 36 ore, il valore si innalza a 7,96 €/h; per contratti full-time “pieni” resta il riferimento di 8,60 €/h. Questi numeri smontano in radice ogni illusione di “risparmio” ottenuto applicando CCNL di nicchia o accordi interni che abbassano la paga. L’azienda che riconosce 6,50 €/h a un part-time di 20 ore, magari convinta di rispettare il contratto firmato con un’organizzazione minore, in realtà si ritrova fuori legge. In caso di verifica ispettiva, i contributi devono essere ricalcolati come se la paga fosse almeno 7,96 €/h, con differenze da versare all’INPS più sanzioni e interessi. Una matematica che non ammette deroghe e che fotografa l’unico scenario possibile: sotto i 57,32 euro non si può scendere, pena l’illegalità.
Part-time: il tallone d’Achille delle imprese
Il fenomeno diventa ancora più delicato quando si parla di lavoro part-time, ormai diffusissimo in settori come logistica, vigilanza, servizi fiduciari e retail. Proprio qui si annidano le maggiori criticità. Molti datori di lavoro, consapevoli della disponibilità dei dipendenti ad accettare pur di lavorare, riconoscono paghe orarie al di sotto dei 7,96 € o degli 8,60 €, confidando che la frammentazione contrattuale permetta margini di manovra. Ma la Cassazione 19467/2025 ha spazzato via ogni ambiguità: i contributi non possono essere calcolati su basi inferiori a quelle fissate dai contratti rappresentativi e dai minimali INPS. Il risultato è che il part-time, pensato per conciliare vita e lavoro, rischia di trasformarsi in una trappola di precarietà, con pensioni future ridicole e aziende esposte a sanzioni. L’unico modo per invertire la rotta è un riallineamento immediato, che richiede trasparenza, strumenti di calcolo accurati e la volontà di superare pratiche scorrette.
Esempi concreti: il costo del falso risparmio
Un esempio pratico rende più chiaro il problema. Un’impresa applica a un lavoratore part-time 20 ore settimanali una paga oraria di 6,50 €. Su base mensile, il dipendente percepisce circa 520 €. Ma per l’INPS, quella paga è inferiore alla soglia minima (7,96 €/h per 36 ore settimanali), quindi i contributi devono comunque essere calcolati sul valore corretto. L’azienda, oltre a pagare la differenza, si ritroverà a dover versare interessi e sanzioni. Se questa prassi riguarda decine di dipendenti, il “risparmio” immediato si trasforma in una voragine economica e in un danno reputazionale incalcolabile. All’opposto, un’azienda che sceglie di riallinearsi subito ai valori INPS non solo evita contenziosi, ma costruisce un’immagine di solidità e affidabilità, elemento decisivo in un mercato sempre più attento alla compliance sociale. La matematica, dunque, diventa un giudice implacabile che non perdona errori di leggerezza o scorciatoie opportunistiche.
L’effetto previdenziale: pensioni più deboli
Rispettare i minimali non è solo un obbligo legale e contributivo: è un investimento sul futuro del Paese. Ogni contributo versato al di sotto della soglia non è pienamente accreditato e riduce il montante contributivo individuale, determinando pensioni più basse. È il meccanismo che ha prodotto negli anni la cosiddetta “generazione contributiva povera”: lavoratori che, pur avendo lavorato per decenni, si ritrovano con assegni pensionistici insufficienti a vivere dignitosamente. L’INPS, con il valore di 57,32 €/giorno, ha posto un argine, e la Cassazione lo ha blindato. Non rispettare queste soglie significa condannare i propri dipendenti a pensioni da fame e alimentare una tensione sociale che ricadrà anche sulle imprese. Il rispetto dei minimali è quindi non solo un obbligo giuridico, ma una responsabilità etica e sociale che ogni azienda deve assumersi se vuole crescere in un mercato sostenibile.
Scenari futuri: tra compliance e competitività
Guardando al futuro, è evidente che il rispetto dei minimali diventerà un criterio di selezione competitivo. Già oggi molte stazioni appaltanti richiedono esplicitamente l’applicazione di CCNL rappresentativi e l’allineamento ai valori INPS come requisito di ammissione alle gare. Nei prossimi anni, questo criterio sarà ancora più stringente. Le aziende che non si adegueranno rischiano di essere escluse dal mercato, non solo pubblico ma anche privato, dove i grandi committenti tenderanno a premiare i fornitori trasparenti e rispettosi delle regole. È un cambio di paradigma: la compliance non è più un costo, ma un vantaggio competitivo. Le PMI che si muoveranno per tempo potranno presentarsi come partner solidi, mentre chi insiste a giocare con i numeri sarà progressivamente marginalizzato. La matematica dei 57,32 euro non lascia spazio a interpretazioni: è un test di affidabilità per tutto il sistema imprenditoriale italiano.
La proposta di CONFLOMBARDIA
La lezione del 2025 è chiara: non esistono più zone grigie. Il minimale INPS di 57,32 €/giorno e i corrispettivi orari (7,16 €/h su 40 ore, 7,96 €/h su 36 ore, 8,60 €/h a pieno tempo) rappresentano un obbligo inderogabile per ogni impresa. La Cassazione 19467/2025 ha blindato il principio e l’INPS lo ha tradotto in numeri. Ora tocca alle aziende scegliere: subire ispezioni, contenziosi e danni d’immagine, oppure trasformare la compliance in un’opportunità. CONFLOMBARDIA lancia l’Audit Minimi & CCNL, un percorso operativo che in 72 ore analizza buste paga, contributi e contratti, evidenzia gli scostamenti e propone un piano di riallineamento rapido. Non è solo rispetto delle regole: è tutela dei lavoratori, protezione dell’impresa e rafforzamento della reputazione. Perché, come sempre, la nostra bussola è chiara: “No mordi e fuggi, ma segui e servi.”