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Chi Lavora Non Può Essere Povero: Vergogna di un Sistema Ingiusto

5 Apr, 2025

Sopravvivere con meno di 1.500 euro al mese: il fallimento di un Paese civile

In Italia oggi, quasi 13 milioni di pensionati e milioni di lavoratori dipendenti vivono con meno di 1.500 euro netti al mese. Questo non è solo un numero. È un grido silenzioso. È la fotografia nitida di un sistema che ha smarrito il senso della giustizia sociale, del valore del lavoro e della dignità umana.

Per milioni di famiglie monoreddito, questa cifra rappresenta una condanna alla povertà. Con 1.300 o 1.400 euro al mese non si cresce una famiglia, non si vive con serenità, non si costruisce un futuro. Si sopravvive. Giorno dopo giorno, scelta dopo scelta, tra l’affitto e le bollette, tra il carrello della spesa e le visite mediche. Eppure, lo Stato continua a tollerare questa condizione, come se fosse normale. Ma non è normale.

Il dramma delle Partite IVA: tra precarietà e trappole fiscali

Accanto ai pensionati e ai dipendenti, ci sono poi milioni di Partite IVA, spesso dimenticate dal dibattito pubblico. Lavoratori autonomi, freelance, piccoli imprenditori che non riescono nemmeno a sfiorare i 1.500 euro netti al mese, nonostante ore e ore di lavoro, impegno, sacrifici.

Molti di loro sono costretti a ricorrere ad accorgimenti fantasiosi, soluzioni al limite della legalità, non per disonestà, ma per sopravvivenza. Perché quando un sistema fiscale e contributivo diventa opprimente, punitivo, incoerente, le persone non possono più respirare.

E qui la riflessione si fa ancora più amara: una legalità autentica, radicata su principi di libertà, democrazia e diritto, dovrebbe garantire condizioni eque, non creare trappole. Invece oggi le leggi stesse, le imposte dirette e indirette, e la burocrazia, spesso si trasformano in veri e propri ostacoli alla dignità e alla libera iniziativa.

Una politica cieca di fronte alla realtà

Come possiamo accettare che in un Paese del G7 esistano ancora milioni di persone che lavorano o hanno lavorato una vita intera, eppure non riescono a vivere con dignità? Come può la politica restare inerte, quando dovrebbe essere la prima a difendere i più deboli?

L’aumento degli stipendi non è un lusso, è una necessità morale e sociale. È tempo che lo Stato dichiari illegittimi e vietati per legge tutti gli stipendi inferiori a una soglia minima di dignità. E sì, diciamolo forte: in Italia non può esistere lavoro pagato meno di 9 euro lordi all’ora. È inaccettabile. È immorale.

Il paradosso delle tasse e lo spreco pubblico

Il paradosso è ancora più amaro: a queste persone, lo Stato continua a chiedere tasse, spesso ingiustificate, gonfiate da un debito pubblico frutto di anni di malagestione, sprechi e apparati pubblici inefficienti. Apparati dove — ironia della sorte — lavorano spesso le stesse figure professionali che nel privato garantiscono produttività e risultati, ma che nel pubblico sono soffocate da burocrazia, politiche clientelari e mancanza di responsabilità.

Il risultato? Lo paga il cittadino onesto. Quello che lavora tutto il giorno per 1.200 euro. Quello che ha la pensione da 900 euro dopo quarant’anni di contributi. Quello che non ha santi in paradiso.

Riportare la dignità al centro

L’Italia ha bisogno di una rivoluzione culturale, prima ancora che economica. Deve tornare a mettere il cittadino al centro, non i numeri, non i bilanci truccati, non le soluzioni tampone. È necessario abbassare le tasse sul lavoro, premiare il merito, dare un reddito giusto a chi produce, e punire chi sfrutta.

Non basta più parlarne. Serve una legge sul salario minimo vero, non simbolico. Serve una riforma fiscale profonda, anche per chi lavora in proprio. Serve una visione di giustizia sociale che non lasci indietro nessuno.

Perché non c’è libertà senza dignità, e non c’è dignità senza un reddito giusto.

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